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Benvenuti al nostro nuovissimo Blog!!!!!

Benvenuti al nuovissimo Blog dedicato al nostro mondo e alle nostre Passioni!

Sii te stesso; tutti gli altri personaggi hanno già un interprete.

— Oscar Wilde.

Come disse il grande autore Oscar Wilde, anche noi cercheremo di essere noi stessi. La nostra non è la voglia di imporre il nostro modo di intendere l’Aikido! Bensì noi desideriamo condividere le nostre passioni con tutti voi, carissimi amici, amiche e lettori! Quello che conta è saper essere sé stessi. Sempre.

E cosi faremo! Questa è la nostra promessa a tutti voi! Benvenuti di nuovo! Siamo qua.. con voi.. tutti voi!

Kagami Biraki ed i gradi Dan

Ben ritrovati nelle nostre pagine! Sono giorni intensi per me e per Sung Gyun Sensei. Il Kankukan Aiki è più attivo che mai e pare che non abbiamo il tempo necessario per finire tutti i progetti che ci si “aprono” giorno per giorno. E’ un momento prolifico, soprattutto perché moltissime delle idee su cui abbiamo lavorato negli anni precedenti (ed in silenzio) paiono finalmente divenire realtà.In special modo la prosperità che sentiamo nel nostro dojo, ci rende immensamente felici. Oltre a questo ci siamo già attivati per poter collaborare con diverse associazioni sarde per poter così diffondere la tradizione dell’Aikido sul territorio. Pertanto siamo stanchi ma felici.

Ietsuna Tokugawa (1641-1680)

L’articolo di oggi lo vorrei dedicare alla tradizione del Kagami Birati che letteralmente può essere tradotta con “rottura dei mochi” (sì, proprio la pasta dolce di riso) o dello specchio. Storicamente pare che tale tradizione fosse legata ad un evento che coinvolse Ietsuna Tokugawa, Shogun del Giappone che in preparazione ad una battaglia contro un Daimyo ribelle, avesse bevuto un barile di Sakè con un suo fedele comandante. Effettivamente l’Edo Jidai seppure sia considerato un’epoca di pace e serenità per il Giappone, ebbe molte controversie che alla fine sfoceranno con il Bakumatsu. Ma durante gli anni di Ietsuna Tokugawa il Bakufu era potente ed ancora cosi’ “giovane” da poter vincere qualsiasi pericolo interno che esterno. La vittoria fu,celere al punto che da quel punto in poi si celebro’ questo momento ogni anno, ossia bevendo Sakè, o meglio aprendo un barile di Sakè (effettivamente lo Shogun aprì un nuovo barile di Sakè per l’evento che se comparato ai nostri giorni, ricorda molto quelle occasioni ove apriamo un vino pregiato ai nostri ospiti. Ndr.).

Difatti il Kagami Biraki si può festeggiare aprendo un barile di Sakè pregiato oppure mangiando i mochi.La popolazione, per imitare le gesta del grande Shogun, iniziò a tripudiare questo evento, aprendo le loro scorte di sakè e accompagnandolo con la condivisione dei mochi da distribuire presso i paesani. Tale festa è tuttora celebrata in grande stile in Giappone. Soprattutto durante l’apertura di un anno sportivo o di altri accadimenti simili. E la data ufficiale è di norma l’11 di Gennaio; in tale data il Kagami Mochi, che viene collocato sul Tokonoma ( nicchia celebrativa shintoista o buddista) durante le celebrazioni del capodanno come offerta agli dei, è rimosso dall’altare per poi essere spezzato in più parti da condividere con le persone pervenute alla festa.Questa tradizione viene poi celebrata in molte palestre di tradizione giapponese; difatti, per chi se lo può permettere avendo la possibilità di far coincidere la data dell’11 Gennaio con un giorno di pratica ( o per chi ha un dojo privato. Ndr.), è tradizione festeggiare il Kagami Biraki, praticando assieme e facendo dimostrazioni (Embukai) durante la celebrazione. Nel contempo è costume consegnare titoli e onorificenze a coloro che si sono dimostrati degni e utili al dojo (o alla struttura se si considerano entità formate da più dojo).Il Kagami Biraki viene festeggiato nella sua pienezza all’interno della tradizione dell’Aikido.

Moltissime associazioni (partendo dall’Aikikai Foundation per arrivare allo Iwama Shin Shin Aiki Shurenkai) adoperano questa festa per poter riunire i vari maestri in giro per il mondo per poter così celebrare il loro buon auspicio per un nuovo anno. Ed in tale evento vengono assegnati i vari titoli quali quelli importanti di Shihan (guida) e i gradi dan ai vari maestri legati all’associazione direttamente o indirettamente attraverso i vari shihan all’interno del corpus centrale. Ed anche quest’anno sono stati assegnati le diverse onorificenze e gradi durante i festeggiamenti. E siamo realmente felici di augurare un buon proseguimento e dare le nostre felicitazioni ai nuovi alti gradi dell’Aikido.

Ciò è tutto se non fosse per una piccolissima nota che mi viene da appuntare qua nelle nostre pagine. Leggendo i vari nomi dei praticanti ed insegnanti che hanno ricevuto tali onorificenze, si evince in  maniera importante la questione che vi siano più praticanti “anziani” che non praticanti giovani. E’ consuetudine, infatti, dare i Suisen ossia i gradi per invito decisi da uno Shihan, durante il Kagami Biraki. Tutto ciò in linea con l’idea che durante i festeggiamenti si diano gradi e titoli dall’alto (nella fattispecie dal Doshu che è il capo dell’Aikido Aikikai mondiale) e quindi non attraverso gli esami. Pertanto il mio discorso non ricade sulla questione che vi fossero più Rokudan (6i dan) che Shodan (1i dan) come altresì hanno fatto notare certuni.

I gradi Yudansha sono una questione relegata alla varie associazioni nazionali mentre i gradi Kodansha sono un’altra questione. Per essere precisi, in molte associazioni si finisce il grado “tecnico” al 4° dan o al 5° dan e da quell’istante si ricevono gradi per, appunto, attraverso onorificenze. Ed il Kagami Biraki è proprio questo: un momento per far “avanzare” di grado coloro che guidano il mondo dell’Aikido.Per questo non è così strano vedere quasi centinaia di 6i dan e pochissimi 1i dan durante la celebrazione.Quello che mi colpisce però è il fatto che vi siano tantissimi 6i dan, quasi anonimi al mondo dell’Aikido, che hanno ottenuto il proprio grado, quasi per dovere o per anzianità. Questa problematica dell’anzianità esiste anche nei piccoli dojo. Fatto sta che spesso troviamo Shodan o Nidan (1i o 2i dan) totalmente inetti e fuori forma, che hanno ottenuto questi gradi solamente perché stanno praticando da 10 anni! E per permettere ai giovani di ottenere gradi ulteriori (quindi passare dai gradi kyu ai gradi dan), si “donano” gradi dan a questi “veterani”, che così acquisiscono tali gradi solamente per anzianità e non per capacità.Questo uccide la qualità di un determinato dojo. Ovvio è sempre meglio questo che certe consuetudini di “tagliare le gambe” ai propri allievi pur di non dare a loro alcun grado che possa avvicinarli a quelli del maestro (e sappiamo che esistono tantissimi casi come questi. Ndr.).

Comunque l’uccisione letterale della meritocrazia, porta al creare un dojo di fenomeni che non sanno neanche indicare cosa sia Dai Ikkyo Omote dallo Dai Ikkyo Ura. E tutto ciò per non perdere la mensilità di costoro. E questa è, secondo me, una bruttissima usanza che purtroppo si perpetua soprattutto in quei dojo ove l’insegnante si definisce “professionista” e quindi vive esclusivamente di Aikido. Questo guadagnare dall’insegnamento, non è male. Anche il nostro Sung Gyun “vive” in parte con l’Aikido, seppure sia un’altra storia in confronto a questi mercanti che si definiscono “professionisti”, visto che Sung Gyun boccia chiunque non sia adeguato al grado che vuole ottenere ( e parlo di chiunque!). I dojo di tali “professionisti”, sono di norma stracarichi di cinture nere. Vediamo bambini con cinture nere; persone fuori forma con cinture nere; persone con una grandissima confusione mentale con cinture nere. E di norma (e ne abbiamo avuto la prova negli ultimi mesi), in tali dojo si fomenta (sì.. si fomenta!) l’ego delle persone al punto tale che si donano le Hakama ai gradi Kyu che poi osano parlare come se fossero dei Kodansha, definendo cose dell’Aikido che neanche Sung Gyun con il suo 6° dan si permetterebbe di dire o scrivere.E tutto ciò per i soldi. La domanda che mi pongo allora è la seguente: tutti questi Rokudan, hanno ricevuto tali onorificenze per la loro qualità tecnica o il loro impegno nella nostra micro e macro società dell’Aikido oppure hanno ottenuto tali gradi esclusivamente per non perderli all’interno dell’ecosistema Aikido e permettere così ai più giovani di ottenere 4i e 5i dan?Le grandi associazioni stanno divenendo con questi dojo di “professionisti” oppure si pratica ancora per migliorarsi?La mia domanda è e rimarrà aperta. Solo ai posteri l’ardua sentenza…


Susie Jo

KEN-TAI-JO no RIAI

Il Principio di Ken-Tai-Jo no Riai

Salve a tutti e buon anno a tutti di nuovo! In questi giorni assieme a Sung Gyun Sensei abbiamo deciso di mettere online sul nostro amato canale Youtube (www.youtube.com/KankukanAikido/ ) i video che registrammo sui Kumi Jo. Certamente avrete notato che esistono già dei video con questa nomenclatura ma in inglese! Perché allora riproporre dei video con le medesime cose seppure in italiano? Giustamente abbiamo capito che moltissime persone amano molto ascoltare la lezione che io o Sung Gyun teniamo online e dal vivo. Seguire un video in inglese, anche se fatto bene, non è assolutamente la stessa cosa di seguirne uno in italiano. Pertanto eccoci qua a riproporli in italiano. Fortuna vuole che le avevamo già registrati tanti mesi fa e quindi sarà solo una questione di tempo per metterli tutti online.

Durante l’editing del video sul 1° Kumi Jo, ci siamo resi conto che Sung Gyun invitava gli utenti ad andarsi a leggere un mio scritto, che condivisi su Facebook. Ovviamente il “mezzo” Facebook non è assolutamente la stessa cosa di un Blog e quello scritto sarà sicuramente andato perso. Ed è un dispiacere perché era un articolo che poteva aiutare tutti gli utenti e gli allievi a capire meglio quanto stava avvenendo nel video (e nelle lezioni. Ndr.).

Per tali ragioni eccomi nuovamente qua a scrivere su uno dei principi più importanti di tutto il sistema Aikido e in special modo dell’Iwama Aikido.

Come pochi di voi sapranno, l’intero sistema Iwama Aikido (e quindi secondo la mia umile visione, l’intero sistema Aikido) si basa sulla coesione tra lo studio della parte armata (Buki Waza) e quella del corpo libero (Tai Jutsu). Sin da subito si comprende quanto la parte armata sia visibile dentro la nostra pratica quotidiana. E senza andare a scomodare i grandi maestri di Daito Ryu o gli Shihan di Aikido che fanno dimostrazioni comparative tra il taglio della Katana e il lavoro medesimo sul Tai Jutsu (vedasi ad esempio lo Shiho Nage che viene sempre mostrato nelle due maniere sopraddette), possiamo notarlo sin da subito dalle fondamenta su cui l’Aikido si erge.

Per i neofiti magari non sarà chiaro sin da subito. Giustamente quando si è nuovi, si hanno così tante bellissime cose da studiare che non ci si sofferma a guardare il particolare; ma la risposta è proprio “sotto” i nostri piedi! E proprio dai piedi che si comincia a capire il nesso! Quando impariamo la nostra guardia che è palesemente una guardia derivante dalla spada (quindi disarmata), vediamo che ci insegnano e poi poniamo i piedi che guardano sempre la direzione d’attacco (la nostra direzione). Se raffrontato con altre arti combattive, ci accorgiamo che il piede avanti è quasi sempre obliquo alla direzione, così da difendere le dita dei piedi! E che dire dell’anca o meglio della mezza anca? E con mezza anca intendo come direzioniamo l’ombelico (per la precisione il Tanden ossia dove risiede l’energia dello Hara) in rispetto alla linea d’attacco. Di solito le arti specializzate nella lotta, tendono ad essere frontali e quindi porre la linea immaginaria che parte dal Tanden verso la linea che si vuole usare per attaccare! Nell’Aikido non lo si fa seppure sia palesemente un’arte di tipo lottatoria; nell’Aikido la guardia viene chiamata per appunto Hanmi che è una mezza guardia ossia che non è in Hitoemi (parallela alla linea d’attacco) né in Kenka Goshi (guardia da lotta dove l’anca è frontale alla linea d’attacco). E vi posso assicurare che tale guardia deriva dalla medesima guardia che si tiene in alcune scuole di Ken Jutsu (arti della spada) tra cui l’Ono-ha Itto Ryu da cui nasce il Daito Ryu moderno.

Quindi il principio Ken-Tai-Jo no Riai che cosa è?

Iniziamo con il definire queste parole. Ken è la spada ed è la medesima parola che usiamo per il Ken Jutsu; Tai invece è il corpo umano ed è lo stesso termine che adoperiamo quando definiamo l’arte combattiva senza armi, ossia il Tai Jutsu; il Jo è il bastone di legno, nato dal noto samurai Gonnosuke e poi importato nell’Aikido da Ueshiba O-Sensei in persona, ed ha lo stesso Kanji del Jo Jutsu che è l’arte del Jo, nata per l’appunto da Gonnosuke durante il diciassettesimo secolo; Riai si può tradurre e intendere come unione o in alcuni casi identico.

Cosa significa tutto ciò? Semplicemente questo: che qualsiasi principio tecnico viviamo nel Tai Jutsu, possiamo semplicemente traslarlo e farlo vivere nel Jo Jutsu e nel Ken Jutsu e viceversa. L’Aikido nella sua peculiarità (quasi unica nel suo genere. Ndr.) non studia le tre arti (Ken, Tai e Jo Jutsu ) distintamente bensì le fa vivere assieme in maniera armoniosa, al punto tale che i principi e le idee che si imparano ad esempio nello Jo, si potranno benissimo essere adoperate nel maneggio della spada! E tutto ciò risulta essere non solamente affascinante ma anche utile e potente.

Perché in tale principio ritroviamo l’essenza stessa della nostra amata arte. Praticando costantemente il Ken ed il Jo, riscopriamo parti integranti e vive del Tai Jutsu. Praticando bene il Tai Jutsu, troviamo principi che ritorneranno prepotenti nell’uso del Jo e del Ken!

Chi comprende questo, riesce a comprendere profondamente l’Aikido.

Poi ovvio, nello Iwama Aikido viene definito sin da subito questo principio e se ne parla costantemente; altresì negli altri stili Aikido, si tende ad ignorarlo seppure bisogna dire che moltissimi “Senpai” (che possono essere o meno Sensei) studiano e si specializzano in diverse forme di Ken Jutsu o di Jo Jutsu. E lo fanno talmente bene da divenire maestri nelle loro specifiche arti! Però è una mia umile opinione che il Buki Waza (quindi la parte armata) dello stile Iwama, sia quella più vicina al principio Ken-Tai-Jo no Riai. Ovviamente nulla da eccepire nelle altre forme di arti armate né sulla pratica degli altri insegnanti. Ma dopo così tanti anni di pratica dentro lo stile di Iwama, riesco a comprendere bene quanto il sistema Buki Waza sia stato creato dai Saito, non come arte complementare o da complementare nel Tai Jutsu, bensì sia stato pensato per essere parte integrante dell’Aikido (e quindi del Tai Jutsu). Per come è stata pensata ed insegnata da Ueshiba O-Sensei e codificata da Saito Morihiro Shihan, il Buki Waza (che poi diverrà noto come Buki Waza di Iwama) nella sua logica e nella sua applicazione è perfettamente coerente con tutto l’Aikido. Questo perché fu creato ad hoc dallo stesso Fondatore per i suoi allievi (nella fattispecie gli uchi-deshi che vivevano con lui ad Iwama).

Il Ken-Tai-Jo no Riai è pertanto uno dei principi se non il principio fondamentale dell’Aikido; non importa come lo si faccia vivere, che sia attraverso arti esterne all’Aikido o quelle autoctone nate e create dal Fondatore stesso. L’importante è farlo vivere nella nostra pratica quotidiana.

Poi è ovvio che studiare il già difficilissimo percorso dell’Iwama Buki Waza, porterà di sicuro a dei frutti “migliori” in rispetto ad altre arti che sono ottime nel loro complesso ma non hanno molto in comune con i movimenti dell’Aikido.

Susie Jo

E così il 2019 se ne va…

Così iniziamo il 2020.. finalmente!

Benvenuti di nuovo tra le nostre pagine, carissimi lettori e lettrici. Innanzi tutto, prima di iniziare questo articolo, io e Sung Gyun Sensei, assieme a tutto lo staff del Kankukan Aiki, vi auguriamo un nuovo anno pieno di speranze, sogni e serenità. Noi cercheremo di vivere pienamente quest’anno e dare il massimo in tutti i nostri progetti; e ne abbiamo tantissimi in serbo per voi!

Come recitano entrambi i titoli, abbiamo salutato il 2019 ed è giusto che io e Sung Gyun facciamo un resoconto di quanto abbiamo vissuto durante quest’anno che ormai è passato. Visto il ruolo che ricopro dentro il Kankukan Aiki, ossia di Presidente (Kaicho – Ndr.), penso che sia giusto che sia io a scrivere qualcosa quest’anno.

Il 2019 è iniziato in sordina per noi. Soprattutto perché non siamo riusciti ad aprire un corso di Aikido. Ovviamente sia io che Sung Gyun ci siamo allenati per tutto l’anno, ma è stato triste non poter insegnare in un nostro dojo, soprattutto considerando il fatto che nel 2019, Sung Gyun aveva raggiunto i suoi 30 anni di pratica. Pensare che per via di un errore fatto da terzi e in special modo da noi che siamo andati a credere a queste persone, è stato molto triste. 

Ma abbiamo rialzato la testa e abbiamo usato il tempo in più che avevamo per apprendere nuovi “talenti” da adoperare non appena fossimo ritornati alle nostra fondamenta: aprire un dojo. Come alcuni di voi avranno saputo attraverso i video che Sung Gyun sta mettendo online attraverso il nostro canale su Youtube e che vi consiglio vivamente di seguire (e iscrivervi – Troverete tutto in questo link: www.youtube.com/KankukanAiki. Ndr.), a Gennaio, Sung Gyun ha cominciato a seguire un corso indetto dall’Ente di Promozione CSAIn, riguardante i progetti sociali e alla crescita delle nuove figure chiamate Animatori Sociali, in ambiente sportivo. L’intento iniziale di Sung Gyun era quello di aiutare un amico che lavora presso lo CSAIn, ma alla fine ha usato questo tempo per imparare quel “quid” in più che potesse migliorare ulteriormente la sua metodica di insegnamento. Difatti Sung Gyun, avendo collaborato/insegnato all’Università e essendo insegnante di Aikido dal 2001, ha sempre avuto una grande esperienza nell’insegnamento; però attraverso questo corso che è durato oltre le 500 ore di studio, Sung Gyun ha appreso nuove metodiche di approccio verso il prossimo, rendendo migliore quindi l’esperienza di ciascuno durante il loro percorso all’interno dell’Aikido. 

Giustamente, come lui asserisce, il corso per Animatori Sociali, poteva essere organizzato meglio, visto che da quel che ho potuto vedere, le lezioni più interessanti per il nostro caso specifico (trasmettere l’arte dell’Aikido) erano lasciate allo studio personale attraverso questi corsi online che avevano preparato dallo CSAIn ( e che ormai sono divenuti una consuetudine ben consolidata per trasmettere nozioni o informazioni). Tutto ciò non sarebbe stato un problema se non fosse per il fatto che da video maker (sì, io e Sung Gyun, siamo ormai dei bravi video maker eheh) avrei consigliato a chi ha organizzato le lezioni, di adoperare un microfono esterno da collegare alla videocamera (ormai i Rode o altre marche minori, vengono vendute a bassissimo prezzo); ma il contenuto delle lezioni furono realmente molto interessanti per Sung Gyun.

Oltre al corso in sé per sé, abbiamo suddiviso i compiti e ci siamo interessati a studiare diverse cose. Sung Gyun si è dedicato al reparto Video, andando a studiare nuovi programmi come il Davinci Resolve 16 mentre io sono andata a studiare il reparto Fotografico, studiando meglio il programma GIMP, che ormai è quasi identico al già più famigerato Photoshop. Di fatti per noi è stato un passo da gigante passare dal nostro amato Blender al Davinci Resolve 16. Tutto ciò venne fatto per la necessità di fare video migliori e lavorare eventualmente con video in risoluzione 4k; Blender è un fantastico programma ma atrocemente lento per quanto concerne il video editing. In realtà, come mi ha spiegato Sung Gyun, Blender è stata un’ottima base da cui partire per fare bene il video editing e grazie allo studio e nozioni acquisite, passare a dei programmi superiori come il Davinci Resolve 16. In finale quest’ultimo programma appartiene alla famosa ditta Black Magic che vende prodotti cinematografici di altissimo livello (dove le macchine lavorano sino all’8k di risoluzione).

Oltre a quello Sung Gyun si è dedicato ad approfondire ulteriormente con me, lo studio dello Yoga e delle filosofie orientali. Abbiamo iniziato un percorso che lo porterà ad avere una salute migliore ma sopratutto una mente più aperta e limpida di quanto non fosse prima. E proprio in prospettiva di questo, ha deciso di diventare vegetariano (non oltranzista ovviamente), perché accogliendo le filosofie orientali, ha compreso quanto sia assurdo proseguire per la strada che ha percorso sinora. Probabilmente questo è stato il più grande cambiamento della sua vita e ne sono realmente fiera e contenta di questo.

Abbiamo viaggiato molto nel 2019 (ultimo progetto è quello di “progetto Arigato Iscola”, che l’associazione culturale Mammai Sardinia, ha organizzato con le scuole medie del nuorese). Siamo stati diverse volte a Roma per aggiornarci e tenere aggiornati i nostri dojo. Inoltre siamo stati in Spagna per condividere la nostra pratica con molti amici di Sung Gyun, dojo-cho di arti affini al Daito Ryu.

Ma la cosa più importante che abbiamo fatto è stato aprire finalmente il nostro Dojo. Il 3 Ottobre del 2019, abbiamo aperto le porte dello Shin Shiaikan dojo! E abbiamo creato un bellissimo gruppo, per ora di 16 di praticanti affiatati e pieni di desiderio di imparare. Oltre a ciò abbiamo aperto un corso per bambini che ci sta dando molte soddisfazioni. Aikido Sinnai, come amiamo definirci, ormai è un’entità consolidata, che cresce giorno per giorno, non solamente per i numeri dei praticanti, ma per la qualità della loro pratica.

Il Kankukan Aiki, dopo così tanti anni di silenzio, si sta rialzando e lo sta facendo nel migliore dei modi. Noi non ci siamo legati alle varie associazioni o federazione, perché non crediamo assolutamente nei loro progetti e/o nel loro approccio verso i praticanti. Inoltre ci siamo accorti che quando si conosce troppo, si diventa per forza di cose un peso all’interno di strutture dove vige la regola della politica e del nepotismo al posto della meritocrazia. In un contesto come quello politico, possono divenire capi chiunque abbia le capacità di ottenere favoritismi da parte dei vari presidenti, mentre in una struttura meritocratica, i posti e ruoli si ottengono per le capacità. Siamo quasi a metà del 31esimo anno di pratica di Sung Gyun, e dopo un’intera vita dedicata alla pratica e all’acquisizione della cultura ad ogni costo, seguendo i migliori del settore in giro per il mondo, sarebbe alquanto degradante sottomettersi ora a questo tipo di strutture; soprattutto considerando che Sung Gyun che ha lavorato presso il Pro-rettorato della Sapienza di Roma, ha abbandonato la sua carriera universitaria proprio per eludere questi meccanismi politici.

Pertanto sono molto contenta che il Kankukan Aiki rimanga per adesso un’entità piccola ma che mantenga la qualità tecnica e l’alta cultura sul Budo e non vengano svendute le nostre conoscenze o esperienze per compiacere qualche politicante che è presidente di qualche struttura.

Attraverso il lavoro coeso tra Social e Vita nel Dojo, sono certa che nel 2020, riusciremo a diffondere con maggior impatto il nostro pensiero. I veri Aikidoka non praticano per ottenere dei gradi; i veri Aikidoka praticano per crescere e imparare/condividere. L’Aikido non è politica. L’Aikido è vita.

Noi del Kankukan Aiki, lavoreremo per portare avanti questa idea. Abbiamo i mezzi ed il sostegno di chi ama realmente il Budo. E assieme a loro.. assieme a tutti quanti, cammineremo verso la luce della conoscenza. Ed è questo il nostro augurio per un grande 2020!

Buon Anno Nuovo!

Susie Jo

I principi del Go no Sen, Sen no Sen e Sensen no Sen

Salve a tutti! Sono sempre io, Susie e sono qua con voi per passare del tempo assieme, parlando di ciò che ci appassiona di più: il Budo.

Nell’articolo di oggi vorrei parlarvi del principio giapponese che ci lega tutti allo spirito del combattimento: il Go no Sen, Sen no Sen e Sensen no Sen.

Tale principio (poi capirete perché parlo di singolo principio e non di tre ben distinti principi) è insito nella pratica di qualsiasi “arte marziale” (anche qua vi sarebbe moltissimo di cui parlare, ma lascio tale argomento per altri futuri articoli) o forme di Budo. Il concetto è semplice: Go, Sen e Sensen delineano di fatti il rapporto tra noi e l’avversario; sottolineano lo scambio reciproco di energie tra noi e l’altro; creano ciò che noi aikidoka chiamiamo Awase (dal verbo giapponese awaseru) ossia l’armonizzarsi con l’altro. Tutto ciò perché quando definiamo Awase non lo dobbiamo intendere solamente con la nostra pratica dell’Aikido (nella sua forma Ki no Nagare) bensì la si dovrebbe interpretare come un modo universale di approcciarsi all’avversario. Ma avremo modo di parlarne dopo!

Iniziamo con il dire che il principio nacque dall’arte del Kenjutsu ossia con la spada e per la spada ed essa si diffuse nelle altre arti da combattimento come conseguenza del fatto che i guerrieri studiavano di base l’arte della spada prima di iniziare a specializzarsi in altre forme di combattimento. Poi ovviamente esistevano casi specifici come i monaci di Hozoin che imparavano ad usare il Bo, perseguendo così la tradizionale visione buddista del non usare armi offensive (di cui vi parlerò in futuro). Ma per la stragrande maggioranza dei casi, le varie scuole di Kenjutsu furono quelle a “dettare” legge all’interno del mondo militare giapponese Pre Meiji-Jidai. In realtà vi sarebbe realmente tanto da scrivere a tal proposito; in effetti ben pochi sanno che non tutti i samurai fossero guerrieri e maestri d’arme. La maggioranza di loro erano per lo più burocrati che gestivano le svariate faccende della loro regione e lavoravano sotto un’attenta gerarchia per il proprio Daimyo (Signore feudale). Si presume, o almeno così ho avuto modo di parlare con Sung Gyun Sensei, che solamente l’1% dell’intera popolazione dei Bushi (che del resto erano si e no tra l’1% e il 10% dell’intera popolazione giapponese ed il loro numero variava a seconda dell’epoca analizzata) sapesse maneggiare una spada e qua si parla dell’Edo Jidai! Ma senza andare troppo fuori “tema”, ritorniamo al nostra argomento principale.

Il suddetto principio di Go no Sen, Sen no Sen e Sensen no Sen, seppure appaia in diverse forme e arti da combattimento (arrivando tra l’altro a influenzare visibilmente anche altre tipologie di attività, sportive e non sportive come ad esempio le strategie che vediamo applicare nel gioco del Calcio ma anche del Tennis!) nacque di fatto dall’arte della spada. E qua precisiamo che la codifica del principio scaturì dall’uso della spada.

Ma cosa di cosa parliamo? Cosa sono questi termini.

Iniziamo ad introdurli passo per passo!

Partiamo dal definire la parola SEN

Sen altri non è che la percezione, la conoscenza, l’intuizione, la sensazione, il presentimento, la comprensione di ciò che sta accadendo e accadrà. E’ probabilmente la più importante sensazione (per l’appunto) che un guerriero o atleta dovrebbe avere e imparare ad ascoltare a far suo.

Con la parola GO, invece intendiamo la durezza e la saldezza in cui affrontiamo l’avversario o l’evento che stiamo vivendo. Difatti quando parliamo di Go no Sen si intende che agiamo dopo che l’attacco/evento è già scaturito e si è messo in azione. Con questo, si badi, non intendiamo che reagiamo ad un input. Assolutamente no! Piuttosto iniziamo l’azione di nostra volontà a seguito dell’input che ci viene dato. Per i profani potrebbe apparire che siano le stesse cose, ma per chi combatte, agire e reagire sono due cose nettamente diverse e distinte, visto che in una siamo sempre noi a prendere in mano l’azione, decidendo noi il moto degli eventi successivi all’atto; altresì reagire è sempre succube dell’attività dell’altro e quindi non siamo mai noi a decidere di agire ma ci muoviamo a seconda della sua iniziativa! E tutto ciò è importante ricordarselo.

Quando parliamo invece di Sen no Sen, di fatti stiamo definendo lo Awase nella sua forma più perfetta. L’azione di uno è sincrona con l’azione dell’altro ed entrambi ci muoviamo assieme, spinti dal medesimo intento. Se nel Go no Sen attendo che l’altro faccia il primo movimento o mossa, nello Sen no Sen mi muovo assieme a lui, nel medesimo istante.

Per capire meglio tale concept, ritorniamo all’arte della spada. Quando l’avversario da una fase semi statica di guardia (dove anche io tengo una guardia semi statica) decide di muoversi, se mi decido di agire appena il suo baricentro si è spostato, allora sto praticando il Go no Sen; altresì se in comune accordo ci muoviamo assieme per un attacco contemporaneo, nella pienezza dello spirito dello Ai Uchi no Ken (di cui parleremo in futuro), allora stiamo vivendo il Sen no Sen!

Ma allora il Sensen no Sen cosa è?

Di fatti si ha un Sensen no Sen quando siamo noi ad agire in quello che oggi giorno, nel gergo militare moderno, si chiamerebbe “attacco preventivo”; ossia siamo noi ad attaccare per primi, cogliendo l’altro impreparato e creando così di conseguenza una sua reazione! Sì, reazione e non azione. Perché i non adepti all’arte del combattere, non hanno quel tipo di allenamento da poter vivere il Go no Sen per reagire all’attacco improvviso dell’altro!

Ma allora il Sensen no Sen è migliore del Go no Sen? O è migliore il Go no Sen? E i “guerrieri” che conoscono entrambe?

Quante domande! Ma abbiamo le risposte, dateci dalla pratica del Daito Ryu!

La risposta è semplice: non esiste un migliore dell’altro. Il combattimento è un continuo scambio relazionale tra due o più avversari (da qui l’idea che sia un’Awase continuo). In questo continuo flusso vi saranno momenti in cui una persona usufruirà del Sensen no Sen mentre in altri momenti applicherà il Go no Sen. Ovviamente, in un micidiale duello tra spade, un’azione potrebbe essere la decisiva. Ma in un contesto più teorico, le due fasi, ossia di Sensen no Sen e Go no Sen coesistono o meglio possono coesistere; e se uno distrugge l’altro, la fine del duello sarà esclusivamente influenzato dalla capacità di ciascuno dei duellanti.

La cosa affascinante è che questo continuo flusso in Sensen no Sen e Go no Sen che potremmo identificare come un continuo flusso tra le forze Yo e le forze In (ossia Yang e In), porterà i duellanti a vivere il massimale del loro “rapporto” (duello) che per l’appunto è lo Awase perfetto ossia il Sen no Sen. Questo perché nello Sen no Sen non esiste più Go no Sen o Sensen no Sen; esistono solamente due persone (o più) che combattono e divengano ciò che nel Daito Ryu vengono chiamati giustamente i praticanti: Aite (ossia l’altro). Tutto ciò perché nel Daito Ryu non esiste di fatti il Tori/Nage/Shite e l’Uke (vi consiglio di andarvi a leggere il mio articolo sul ruolo dell’Uke!), bensì esiste solamente l’Aite ossia una persona che può essere Tori/Nage/Shite e l’Uke nel medesimo istante e momento. Ma avremo modo di parlarne nei prossimi articoli!

Ma abbiamo parlato di 3 fasi ben distinte! Come mai hai scritto 1 principio?

Come avete visto, sono 3 le fasi ma il principio del continuo scambio (ossia dello Awase) è uno solo e come per tutte le cose legate al rapporto relazionale dello In/Yo (In/Yang), tutte le tre fasi coesistono assieme e non potrebbero essere scisse le une dalle altre, formando di conseguenza un unico principio che identifica il combattimento.

E con questo chiudo l’articolo, invitandovi a seguirci sempre su queste pagine. Come sostiene Sung Gyun Sensei, scriveremo molto e spesso; tutto ciò perché vogliamo condividere quanto abbiamo appreso con tutti voi, cari lettori e lettrici.

Dalla Sardegna, vi saluto e vi auguro un buon 2020!

Susie Jo

Il caso specifico dei gradi Dan

L’importanza dei gradi Dan nelle arti marziali orientali

Salve a tutti cari lettori e lettrici! Sono nuovamente Susie e sono qua per condividere un pensiero riguardante i gradi Dan nelle varie scuole di Arti Marziali. Questo articolo nasce da dei discorsi che abbiamo tenuto io e Sung Gyun Sensei in questi giorni festivi. Ah dimenticavo! Buon Natale a tutti e buon Santo Stefano!

Io e Sung Gyun parlavamo, per l’appunto, di quanto sia ancora molto diffusa l’idea che la cintura nera sia un traguardo e quanto per molti sia importante ottenere gradi ed onorificenze, andando a ledere magari la qualità della loro tecnica e della loro passione.

Effettivamente mi sono accorta che moltissime persone credono ancora che il loro percorso da cintura bianca alla nera (o meglio dal Mudansha – dove Mu significa Zero/Senza, mentre dansha è il grado Dan – allo Yudansha – che si può tradurre con persone che stanno percorrendo i gradini o step per ottenere la conoscenza) sia il vero e proprio percorso e credono, pertanto che ottenendo la fatidica cintura nera, hanno ottenuto la conoscenza completa.

Ma andiamo passo per passo come sempre.

Tutti noi ci siamo applicati per arrivare allo Shodan (Primo Dan. Ndr.). Spesso le persone più appassionate e amanti dell’arte, sono tra coloro che non hanno ancora ottenuto la cintura nera. Il problema fondamentale però è che spesso, si sfrutta questa passione (ovviamente da parte degli insegnanti) per poter tenersi stretto la retta mensile del proprio allievo! Sappiamo che da quando le arti marziali sono uscite dal Giappone (e poi dalla Corea e dalla Cina), attraverso il Judo che fu la prima ad introdurre il sistema dei gradi Dan, le persone hanno sempre sognato di divenire cinture nere come i loro beniamini che vedevano nei già noti film degli anni ‘70.

Giustamente parlo degli appassionati di arti marziali! Perché è bene sapere che non tutta la popolazione ama ciò che amiamo, né tanto meno è interessata a questo ambiente. Però si può benissimo dire che tra gli anni ‘70 e ‘80, le arti marziali ebbero un gigantesco boom, soprattutto grazie alla cinematografia cinese e ai film di Bruce Lee.

Ma tutto questo si ebbe in special modo grazie al rientro in USA di quei soldati che avevano preso servizio in Giappone e Corea; se a questi aggiungiamo il grandissimo numero di soldati che fecero ritorno dal Vietnam, carichi di esperienze e vita vissuta tra i coreani e giapponesi (anche loro presenti in Vietnam come alleati degli americani), possiamo capire quanto potesse essere interessante fare film dedicati alle arti marziali. Ricordiamoci inoltre che il noto attore Chuck Norris, imparò il Tang So Do in Vietnam!

Pertanto l’idea che le cinture nere fossero letali, macchine di morte ecc., viene da questo periodo e come direbbe Sung Gyun, ormai è divenuta una consuetudine, ormai affermata e diffusa, che arrivare alla nera significhi divenire forti e/o ottenere quella conoscenza totale sulla propria arte marziale.

Ovviamente comprenderete che noi non la pensiamo in questa maniera! Assolutamente! Come si suole dire in Giappone (e quindi anche in Corea e Cina), lo Shodan non è altri che il primissimo gradino di un percorso che durerà l’intera vita! Si badi però che in Giappone è ben chiara l’idea che ogni arte marziale o sistema marziale, ha un inizio ed una fine (parlando a livello tecnico); nell’Aikido ad esempio, quando una persona sostiene il Godan (5° Dan. Ndr.), smette di essere uno Yudansha e diventa un Kodansha (che si può tradurre con persona che ha ottenuto la conoscenza). Quindi l’Aikido non è un “sistema” aperto ed infinito, bensì è un’arte che ha un numero preciso di tecniche e di principi. Cosa lo rende un Gendai Budo (Budo inteso come via del guerriero, mentre la parola Gendai si intende moderno)? L’Aikido è un Gendai Budo perché la sua pratica non si ferma assolutamente al numero di tecniche acquisite, ma lavora sulla persona e per la persona, attraverso un percorso spirituale e mentale ben definito.

Quindi possiamo serenamente dire che le arti marziali possono avere una struttura ben definita (metterei in dubbio, quelle arti marziali con infinite tecniche) ma hanno nel contempo un lunghissimo cammino di crescita del proprio animo ed essere. Dire che allo Shodan che altri non è che il primissimo gradino (sho si intende primo), si è ormai arrivati e divenuti esperti è totalmente sbagliato.

Ma perché accade questo? Effettivamente tutto questo accade perché, mentre in Giappone e Corea i gradi Kyu sono dati velocemente in altri luoghi (e direi in special modo in Italia), i gradi Kyu vengono dati con molta lentezza, arrivando anche ad inventarsi le “mezze cinture colorate”, pur di tenersi gli studenti (e la loro retta mensile) dentro i propri Dojo! Questo perché siamo sempre alle solite: il cane che si morde la coda. I “maestri” hanno paura di perdere i propri studenti perché sanno che molti di loro considerano lo Shodan un traguardo; nel contempo molti studenti considerano lo shodan il proprio traguardo, perché vivono male il periodo di grado Kyu, ritenuto lungo e tedioso! L’assurdo è che in Oriente, i gradi Kyu non vengono neanche considerati, perché sono ritenuti un momento di passaggio e di preparazione al primo grado di conoscenza, dove tutto inizia ad essere chiaro, ossia lo Shodan.

Quanta confusione si è creata così?

Il problema però non finisce solamente con lo Shodan. Anzi esistono problematiche ben maggiori. Se da una parte possiamo dire che la problematica degli Shodan porta alla scomparsa di un buon numero di praticanti, dall’altra vediamo l’opposto. Quei pochissimi che riescono ad avanzare nel sistema, cominciano a desiderare di ottenere più gradi di quanto non siano effettivamente capaci di dimostrare sui tatami. L’ego entra in gioco al punto tale che vediamo in giro personaggi che si fregiano del 10° dan, senza neanche sapere che tranne alcuni rarissimi casi storici (come ad esempio Tohei che ricevette il 10° dan di Aikido), tali gradi vengono dati dall’Imperatore giapponese o da strutture di grande importanza, solo alla morte del grande maestro, possiamo capire quanto sia sciocco e puerile dire di avere il 10° Dan. Se poi aggiungiamo che spesso costoro giustificano il loro 10° dan, dicendo che se lo sono dati perché hanno inventato uno stile, arriviamo all’assurdo! Soprattutto se pensiamo che i Soke ossia i capi scuola, in Giappone, non hanno gradi proprio perché sono i fondatori o discendenti di un fondatore. Se questa non è una gravissima confusione da parte di questi egocentrici, non riuscirei a spiegarmi la questione.

Ma ciò che mi stupisce di più, sono quei Shodan che rimangono a praticare, ma non vanno a fare più esami di grado (pertanto non passano al Nidan. Ndr.), pur divenendo egocentrici e vanesi come nessun altro. Questo “cancro” lo si vede spesso in quei piccoli Dojo, dove vive costantemente questo microcosmo formato da tantissimi allievi che abbandonano il Dojo al loro arrivare allo Shodan e quei pochi non sentono lo stimolo di divenire 2i Dan proprio perché mantengono quei privilegi di “senpai” all’interno del Dojo stesso.

Queste cinture nere, sono le peggiori secondo me. Perché non fanno nulla per progredire, né si allenano per capire e conoscere. Ciò che gli spinge ad andare in Dojo, è spesso la consuetudine a farlo e per potersi sentire “migliori” dei gradi kyu senza però avere l’onere di confrontarsi con chi è più bravo. Spesso costoro riescono a mantenere questo status quo per anni! E ancor più spesso vediamo interi gruppetti di persone, scacciate via da questi “Nonni” (perché si parla di vero e proprio nonnismo) che altro non fanno che tagliare “le gambe” ai giovani, pur di mantenere quei “privilegi” ottenuti dalla loro posizione. Costoro non vogliono innovazioni; costoro non vogliono fare nulla per diventare bravi; costoro non fanno nulla per far crescere l’arte.

Di sicuro non sono peggiori dei fantomatici 10i dan ma i “nonni” non fanno bene assolutamente all’arte. Assolutamente e lo ribadisco.

La soluzione?

Esiste di sicuro ed è nel comportamento di ciascun insegnante. Se quest’ultimo farà di tutto per crescere e migliorarsi (giustamente e non per Ego come i fantomatici 10i dan) allora gli allievi vivranno una sana esperienza, piena di luce e conoscenza. Altresì se il “maestro” si adagia su un misero livello, allora gli stessi allievi faranno altrettanto. Perché? Semplice. Se il “maestro” non cresce di livello e/o grado, tenderà a stroncare lui stesso quelli bravi o altrimenti quelli bravi si cercheranno un altro maestro da cui attingere conoscenza. Dovendo mantenere solo gli ignoranti sotto di lui, tale “maestro” tenderà a formare gente simile a lui che farà la medesima cosa coi gradi kyu, arrivando così a creare quel sistema di stallo e bruttezza tipica di certi dojo che appaiono sempre identici in 10 o 20 o anche 30 anni.

Gli allievi sono sempre lo specchio del Maestro. Ricordiamocelo.

Per il 2020, cerchiamo di fare di più per chi ci segue. Diveniamo realmente Maestri ossia persone che trasmettono la loro conoscenza!

Questo è il mio migliore augurio per tutti quanti!

Susie Jo

L’Aikido, l’Aiki Jujutsu e il fantomatico Aiki Jitsu

L’Aikido, l’Aiki Jujustu e l’Aiki Jitsu

Salve di nuovo e ben ritrovati nuovamente nel nostro blog. Effettivamente sarebbe più consono dire, ben ritrovati nel nostro nuovissimo blog. Purtroppo alcune vicende spiacevoli ci hanno spinto a dover ricreare il nostro “mondo” al di fuori dell’altro blog; le persone tendono ad invidiare il nulla e per tali ragioni, cercano di fermarci in una maniera o l’altra. Non so cosa spinga questa gente a comportarsi così, ma di una cosa sono sicura: non riusciranno a fermarci. Mai.

Noi parliamo con passione e scriviamo (o facciamo video) con altrettanta energia. Il nostro desiderio non è quello di ergerci al di sopra degli appassionati come noi, bensì è quella di poter condividere con moltissime persone quello che abbiamo studiato, imparato e fatto nostro. Per tali motivi, vi chiediamo, gentili amici nostri, di seguirci in questo percorso. Perché cercheremo di fare tantissimo per la comunità e con la comunità.

Premesso questo, oggi ho desiderio di occuparmi di una questione che mi preme fortemente. Sì, parlo della questione Aiki Jitsu (o anche Aiki Jutsu) che spesso si legge in giro. Eh già, siamo alle soglie del 2020 e vi sono tuttora persone che chiamano la loro pratica Aiki Jitsu. Posso anche dire che ormai per consuetudo dovremmo far passare la cosa come “normalità”; purtroppo però non riesco a farlo. Motivo? Perché l’Aikido ed il Daito Ryu sono indissolubilmente legate alla tradizione e dire che si pratica questo fantomatico Aiki Jitsu, non è solamente sbagliato, ma crea tanta confusione nelle menti delle persone. Ma partiamo dagli inizi.

Come ormai molti sanno (o hanno avuto modo di leggere nei nostri scritti), l’Aikido non è solamente nato dal Daito Ryu bensì è possibile considerarlo una “forma” del Daito Ryu come potrebbe essere la scuola Hakko ( – mettere nota – ) o qualsiasi altra Ryu-ha legata alla grande tradizione Aiki. Di fatti l’Aikido cambia la sua prospettiva per quanto concerne il messaggio sul suo percorso, ma di fatti le tecniche eseguite sono e rimangono legati al Daito Ryu.

Nonostante questo è giusto considerare l’Aikido un’arte a sé stante che si è evoluta dal Daito Ryu e prosegue ad evolvere una propria tradizione e percorso. E sotto molti punti di vista, si può serenamente dire che l’Aikido è un’evoluzione del Daito Ryu (anche se qui bisognerebbe aprire un capitolo a sé stante.. cosa che faremo senz’altro. Ndr.).

Pertanto non è sbagliato dire che l’Aikido sia in parte un’evoluzione del Daito Ryu (come messaggio e percorso) ma nel contempo sia anche parte della tradizione Daito. E questo è il punto fondamentale di tutto il discorso!

Ma andiamo passo per passo.

Nel mondo di internet possiamo realmente trovare di tutto (basti passare qualche tempo su Facebook o sui altri social quali YouTube): spinti da varie necessità (che non sono qua a discutere né a giudicare/criticare) vi sono persone che dicono che stanno praticando ed insegnando l’Aikido originale; altri, invece dicono di insegnare un’evoluzione dello stesso Aikido, chiamandolo Aiki Jitsu che altri non è che un Aikido più “violento” o vicino alle necessità della difesa personale; altri ancora parlano di portare indietro l’Aikido delle origini.

Ovviamente qua si parla di tutto quello che è totalmente diverso dai canoni dell’Aikido classico e tradizionale! Ma fate attenzione che anche il più canonico Aikido è pieno di diversità ed è in continua evoluzione!

Però torniamo al discorso di queste entità “diverse”. Di fatti anche il nostro Kankukan Aiki risulta completamente diverso dal canonico Aikido, perché l’influenza del Daito Ryu è così viva nella nostra pratica da renderla realmente “diversa” dalle altre scuole o stili.

Ma posso tranquillamente dirvi che mai alcuno di noi ha mai detto che siamo l’evoluzione dell’Aikido, o migliori delle altre scuole o che stiamo praticando l’Aikido più originale! Assolutamente!

Di fatti le persone che dicono di fare questo fantomatico Aiki Jitsu fanno un doppio errore. Ma andiamo nuovamente di passo per passo.

Prima di tutto in Giappone non esiste assolutamente un’arte chiamata Aiki Jitsu né alcuna persona oserebbe dire di praticarla. Esiste caso mai l’Aiki Jujutsu e se vogliamo parlare nello specifico, esiste caso mai l’Aiki no Jutsu che altri non è che il 2° settore del sistema Daito (dove si impara effettivamente i principi dell’Aiki e di quello che noi nell’Aikido chiamiamo Ki no Nagare). Quindi non esiste un vero e proprio Aiki Jitsu, nome del resto altrettanto sbagliato perché caso mai sarebbe Aiki Jutsu!

Pertanto Aiki Jitsu non esiste come nome. Ma altrettanto non esiste una pratica con tale nome. Né avrebbe senso che esistesse. Perché se l’Aiki Jitsu fosse un ritorno alle tecniche originali dall’Aikido, allora non si chiamerebbe Aiki Jitsu bensì Daito Ryu.

Altrettanto se l’Aiki Jitsu fosse un’evoluzione dell’Aikido, rendendolo più “Street Oriented” allora sarebbe un controsenso in termini. L’Aikido, come abbiamo visto è già un’evoluzione del Daito Ryu, pur mantenendone fortissimi i legami con il proprio passato. Che logica ci sarebbe evolvere l’Aikido applicando tecniche più “incisive” come nel Daito? Seguendo la loro logica, l’Aikido che si è “evoluto” dal Daito, si trasformerebbe ulteriormente per ritornare ad applicare tecniche incisive come nel Daito? Che ragionamento è mai questa?

Vogliamo parlare poi di tecniche? Mischiare altre esperienze, senza una struttura precisa, logica e nata da una vera esperienza sul campo, non rende la propria tecnica migliore o evoluta in rispetto alle tecniche proposte nell’Aikido. Anzi! Vedere gente che unisce tecniche prese dal Karate a quelle autoctone dell’Aikido senza una precisa motivazione tecnica e marziale, è alquanto triste.

Perché?

Perché si vede spesso che si conosce realmente poco dell’Aikido e soprattutto la si conosce in maniera molto confusa.

Non si può spiattellare un’altra arte marziale all’Aikido senza aver compreso i principi fondamentali su cui si muove l’una e l’altra. Vedere gente che fanno 10mila mossettine con il proprio Uke fermo, mostra solamente che non hanno mai combattuto realmente e che non conoscono che meno ci si muove, meglio si fa.

Eppure in questi “minestroni” chiamati Aiki Jitsu, vediamo spesso tecniche fatte male (secondo qualsiasi canone marziale) e soprattutto fantasiose quanto illogiche. E questo è un grande male. Se poi andiamo ad analizzare cosa dicono queste persone, vi è da strapparsi i capelli! Dire che hanno molta confusione è dir poco. Perché quando si riesce a dire che l’Aikido nasce dal Judo, vuol dire non aver compreso realmente di cosa si stia parlando.

E qua non dico che si dovrebbe avere chiaro il concetto che l’Aikido non è un’arte marziale nata dai Samurai come spesso si dice in maniera del tutto sbagliata (di fatti l’Aikido nacque dopo la restaurazione Meiji ed i Samurai come classe sociale, vennero aboliti dal governo Meiji, rendendo di conseguenza impossibile dire che l’Aikido sia nata dai Samurai, visto che non esistevano più) (se poi si dice che sia nata dai Samurai per via del Daito Ryu, anche qua vi sarebbero kilometri di parole da dire prima di affermare ciò.. Ndr.), qua si parla di non avere realmente i concetti di base chiari..anzi di non averli assolutamente.

Per terminare il discorso, l’Aiki Jitsu non può esistere né mai esisterà come lo propongono costoro. Perché come ho già scritto, non insegnano l’Aikido originale perché se fosse così esso si chiamerebbe Daito Ryu o anche Yoshinkan o Iwama Ryu; costoro non insegnano un’evoluzione dell’Aikido perché affermare questo, vorrebbe dire non aver capito realmente cosa sia l’Aikido, oltre che non si può “ritornare” (ipoteticamente visto che non praticano le tecniche Daito che non conoscono) e dire che si sta praticando un’evoluzione di essa.

Ultimo l’Aiki Jitsu non ha senso di esistere perché spesso chi dice di insegnarlo o praticarlo, è una persona che non ha mai “finito” il suo percorso di Aikido (e con finito intendo che abbia raggiunto almeno il 5° Dan/Kodansha) bensì spesso sono dei gradi Kyudansha (praticanti con gradi Kyu) o degli Shodan che da un giorno all’altra, aprono un loro stile e che per distinguersi dal percorso tradizionale, lo denigrano e parlano di fantomatiche evoluzioni, pur di farsi notare e staccare dalla massa.

Manderei mai qualcuno a praticare Aiki Jitsu? Penso che ormai sappiate la mia risposta: Mai.

La passione non dovrebbe mai divenire un modo per rinvigorire il proprio Ego. Le cose, come per l’Aikido, si acquisiscono con il tempo e maturano con il tempo. Questa è una cosa da ricordarsi. Sempre.

Spero che questo articolo possa dare una maggiore chiarezza in riguardo a questo tema e possa aiutare chiunque abbia a che vedere con queste persone e le loro pratiche.

La vostra,

Susie Jo

IL RUOLO DI UKE E TORI

IL RUOLO DI UKE E TORI

Salve a tutti! Sono nuovamente io, Susie! Sono rimasta molto contenta del fatto che così tante persone abbiano letto i nostri articoli e specialmente quello di oggi (Susie Sensei scrive sempre e solamente di sera. Ndr.) ! Eh già! Blogger dove scriviamo questi articoli, ci indica quante persone abbiano o meno visitato le varie sezioni che mettiamo online. Pertanto grazie di cuore a tutti quanti per il sostegno che ci state dando! Ci spingete a fare di più ed a lavorare sempre meglio!

Stasera vorrei parlare del ruolo di Uke (colui che permette di studiare la tecnica) e Tori (colui che esegue e studia la tecnica). Questo soggetto mi è venuto in mente dopo che Sung Gyun Sensei è ritornato ieri dal Dojo (per vari impegni lavorativi che mi ero portata a casa, ieri ho dovuto, purtroppo, saltare la lezione); Sung Gyun mi ha parlato del come avesse fatto da Uke verso tutti i nostri allievi ed allieve; una cosa piuttosto nella norma visto che sia lui che io facciamo sempre da Uke ai nostri studenti. Ma ieri Sung Gyun era molto entusiasta del fatto che tutti avessero imparato lo ShihoNage Omote e Ura dallo ShomenUchi. Tutto ciò ci rende molto orgogliosi visto che i nostri allievi praticano da solamente 3 mesi! E chi è addentro al “mestiere” di aikidoka, sa benissimo quanto sia complesso imparare ShihoNage da ShomenUchi, soprattutto se viene studiata nella sua forma Iwamista e nella sua forma Daito.

Mentre cenavamo, Sung Gyun mi raccontava come ciascuno dei ragazzi si fosse mosso bene, senza incorrere ai soliti errori. Ovviamente alcuni ancora non comprendono che non è la forza a far divenire efficace la tecnica bensì è la tecnica a dover essere efficiente per rendere il tutto efficace!

Ma proprio discutendo di questo (sì, noi due parliamo spesso e volentieri di tutto ed in special modo di Aikido a casa o mentre vado a lavoro e sono in macchina!), mi è venuta in mente di scrivere qualcosa in merito al ruolo che un utente deve avere quando fa da Uke e poi quando fa da Tori.

Iniziamo con il ruolo di Uke

La parola Uke viene effettivamente dal verbo giapponese Ukeru che significa “ricevere”; proprio per questo, molte persone volenti o nolenti non comprendono quasi sia importante il ruolo di Uke. Nella fattispecie l’Uke è il vero protagonista nel rapporto duale Tori/Uke.

Perchè? Perché senza un Uke, Tori non potrebbe mai allenarsi, o imparare, o anche semplicemente applicare quanto ha studiato ed appreso dal proprio Maestro! Come dice Sung Gyun Sensei, per lo In e Yo (in cinese Yin e Yang), Tori non può esistere senza la presenza di Uke e viceversa. Pertanto Tori deve assolutamente trattare con riguardo il proprio Uke, non arrecando alcun danno fisico o mentale al proprio compagno. Ricordiamoci che poi anche Tori diventerà Uke! Fargli del male non sarebbe affatto intelligente! Pertanto Uke deve essere sempre trattato con riguardo!

Ma cosa deve fare l’Uke? Pochi conoscono l’aneddoto sullo scritto di Saito Morihiro Shihan presso il suo Dojo di Iwama (e quindi mi farà piacere poterlo scrivere qua). Ai tempi del grande Shihan, egli aveva appeso sul muro del suo dojo una scritta sia in giapponese che in inglese, dove si invitava tutti i praticanti a lavorare bene senza fare alcuna resistenza (ovviamente quando si lavorava come Uke. Ndr.) e quindi permettere a tutti di poter praticare ed imparare. Pensate a questo: con uno scritto così semplice Saito Shihan aveva esplicato così bene il ruolo dell’Uke! Ma addentriamoci di più!

L’Uke principalmente riceve la tecnica. Ok. Ma non è un manichino né un giocattolo su cui sfogare i propri peggiori istinti! Come ho già avuto modo di scrivere, bisogna sempre rispettare il proprio Uke e non fare come fanno certuni che ho, purtroppo, conosciuto durante i seminari (e aggiungerei come fanno anche certi sedicenti maestri durante le loro lezioni.. Ndr.) che paiono di dover dimostrare chissà che cosa, andando quasi a rompere le articolazioni delle persone (e dei propri Uke)! Ovviamente di tutto ciò ne parleremo quando affronteremo il delicato ruolo di Tori, ma sia chiaro sin da subito che Tori è lì per imparare, eseguire e far suo la tecnica e non per sfogare le proprie frustrazioni sui poveri compagni!

Altresì Uke non deve fare assolutamente resistenza al proprio Tori, come del resto annunciava Saito Shihan; l’Uke deve permettere al proprio Tori di studiare, applicare e far suo la tecnica proposta dal Maestro; deve lasciar lavorare Tori perché fare resistenze varie od eseguire le cosiddette contro “mossette”, non è una cosa intelligente da fare durante il Katageiko ( Kata = forma, Geiko/keiko = pratica. Ndr.).

Why? Perché così facendo nessuno ci guadagna e diventa solo una futile perdita di tempo per entrambi e per il gruppo. Comportandosi così, l’Uke spingerà Tori a fare la medesima cosa con lui quando spetterà a questi il compito di fare da Uke! E vi posso assicurare che queste cose avvengono quasi quotidianamente in giro per seminari o diversi dojo (per fortuna non nel nostro.. ma siamo un caso più unico che raro, direi.. Ndr.). Poi ovviamente esistono casi e casi. Uke deve permettere al proprio Tori di poter studiare. Non deve assolutamente fare resistenza all’esecuzione della tecnica proposta. Un Uke che fa resistenza, dimostra solamente che non ha ben compreso il ruolo a cui viene chiamato ogni volta che lavora con il proprio compagno. Soprattutto perché il Tori non sta combattendo con lui in Randori o Shiai (che identificano il combattimento) bensì sta eseguendo una forma a due, un Katageiko! Chi si comporta così non dimostra la propria intelligenza. Un esempio simile avviene quando si propone un movimento in uscita che potrebbe essere un Hayagaeshi o un Sankakugaeshi (movimenti di ashi waza ossia tecniche di spostamento delle gambe) da attacco di tsuki (che è un colpo di pugno o di Aiki Ken o di Aiki Jo); l’uke sapendo quale movimento farà Tori, lo insegue e lo colpisce. Ma che senso ha tutto ciò?

Di sicuro questo non è il modo giusto di comportarsi. Uke deve permettere al proprio Tori di studiare e non smetterò mai di ribadire questo concetto. l’Uke deve essere stabile e non deve mai fare resistenza. Deve essere equilibrato. Nel contempo non deve mai buttarsi a terra o come si dice in gergo, “morire in mano” a Tori! Perché spesso avviene anche il contrario di quanto sto scrivendo. Molti praticanti, nel loro ruolo di Uke, tendono a cadere subito, non appena il proprio Tori gli tocca il braccio! Tutto ciò avviene probabilmente perché molti vogliono far fare bella figura al proprio Maestro o perché qualcuno nel dojo gli ha detto la bruttissima frase “adesso devi cadere”, senza che in quell’azione o momenti vi sia stato un lavoro sullo squilibrio ossia il Kuzushi.

Pensate a questo: esasperando questo brutto comportamento, o meglio quello di “morire in mano”, si arriva a quelle bruttissime pratiche dove l’Uke viene “proiettato” senza essere neanche toccato. Quanti di voi hanno visto i vari Kiai Master o maestroni di Tai Chi o di Systema russo, fare queste cose? Non vi pare brutto da vedere, se non ridicolo?

L’Uke non deve resistere, ma non deve neanche buttarsi a terra “gratuitamente”! Come ho detto deve rimanere stabile ed equilibrato. Un bravo Uke ascolta con il corpo ed osserva il movimento del proprio Tori! Assapora la tecnica ed il principio con cui viene eseguita. Insomma il suo ruolo è importantissimo! Perché dal suo modo di fare, ne guadagneranno tutti!

Ed il Tori? Il Tori che per alcune scuole viene identificato con il nome Nage (colui che proietta) o Shite (colui che esegue la tecnica) non è altri che colui che effettivamente sta studiando l’arte e lo sta eseguendo. Tori (che in giapponese significa lottatore) deve lavorare, concentrandosi sulla tecnica. Deve rispettare il proprio Uke e non fargli del male. Può praticare anche con molto Kimae (vigore.. Ndr.) ma non deve far del male al proprio Uke, perché il proprio compagno non è né un manichino né tantomeno un giocattolo su cui sfogare le proprie frustrazioni!! Ed una persona che si comporta in maniera sciocca e violenta, non ha compreso realmente cosa significhi praticare in maniera seria. Nel contempo, creerà situazioni dove le persone lo ignoreranno. Perché chiunque preferirebbe ignorare questi fantomatici “Machoman” isolandolo al primo cambio di compagno perché, di fatti è inutile perdere tempo con chi pensa di essere più intelligente o furbo degli altri. Ma questo non è assolutamente il modo migliore di risolvere la situazione!

Per questo sono qua a scrivere!!! Perché è sempre molto meglio spiegare e far capire a tutti (neofiti e non) l’importanza del ruolo di Uke e Tori! Comunque sia far del male a qualcuno all’interno di un Katageiki non dimostra in alcuna maniera la propria bravura o che si è superiori agli altri; anzi! Si mostra solamente una fortissima insicurezza e frustrazione visto che un bravo Uke, che esegue bene il proprio ruolo, non si sta difendendo visto che per l’appunto, non è un combattimento!

I ruoli di Tori e Uke non sono semplici e vanno al di la della mera pratica; questo perché entrano in gioco diversi fattori, tra cui le personalità di ciascuno di noi e la vita che conduciamo al di fuori del Dojo. Ma vorrei ricordare la prima cosa che ci insegnano non appena ci iscriviamo in un Dojo: lasciate ogni pensiero esterno, fuori dal tatami. E così dovrebbe essere per le nostre frustrazioni e rabbia.

Il compito di noi insegnanti è quello di trasmettere la realtà. Spero che questo articolo possa aiutare chiunque lo legga a comprendere a pieno l’importanza di come vivere il tatami!

Un saluti dalla vostra Susie Jo

Ritornare ad essere principianti! Un messaggio fondamentale per la Scuola dell’Aiki!

Ritornare ad essere principianti! Un messaggio fondamentale per la Scuola dell’Aiki!

Salve a tutti e ben ritornati nel nostro Blog. Io e Sung Gyun Sensei usiamo questo luogo per poter condividere le nostre idee, passioni e studi. Oggi sarò io a parlare con voi di quanto ci appassiona di più: l’Aikido.

La pratica dell’Aikido è bellissima. Realmente bellissima. E confermo quanto diciamo ad ogni lezione: l’Aikido è una scoperta continua ed un percorso che mai finirà!

Ovviamente sono consapevole del fatto che l’Aikido abbia (a seconda degli stili. Ndr.) un sistema ben codificato e chiuso. O almeno sappiamo che esistono tot numeri di Tachi Waza, Suwari Waza e Hanmi Handachi Waza; per non parlare del Buki Waza! (con Tachi Waza intendo le tecniche in piedi, non armati mentre per Suwari Waza intendo le tecniche in posizione seiza ossia da seduti; Hanmi Handachi è altresì la pratica delle tecniche da seduti mentre l’avversario è in piedi. Alla fine Buki Waza è la pratica delle armi all’interno dello stile Iwama Aikido).

Però quello che differenzia l’Aikido dal Daito Ryu è il fatto che l’Aikido si evolva continuamente, guardando il presente e creando il futuro, mentre il Daito Ryu osserva il passato e cerca di mantenere integro ciò che è stato trasportato sino ai nostri giorni. E’ possibile che questa sia la vera essenza (o parte di essa. Ndr.) del Gendai Budo (nella fattispecie l’Aikido) in rispetto alle Koryu (come ad esempio il Daito Ryu). Ah per coloro che non lo sapessero, l’Aikido è una forma di Daito Ryu ossia nasce da essa, si evolve da essa, ma effettivamente è Daito ma con una visuale di pratica molto diversa da essa (Gendai Budo sono tutte quelle “arti marziali” giapponesi che nacquero durante l’epoca Meiji mentre tutte quelle antecedenti sono considerate Koryu ossia antiche scuole) (vi sarebbe da dire e scrivere molto sul perché il Daito Ryu sia considerata una Koryu nonostante sia nata in tempi moderni ma lascerò a Sung Gyun il compito di parlarne qua).

Pertanto l’Aikido è un’arte infinita che persegue l’evoluzione costante dei praticanti giorno per giorno. Mi affascina pensare che ciascun praticante farà il “suo” Aikido che non sarà una copia senza anima di quello del proprio Maestro. Ovviamente ciascuno di noi, esegue ed eseguirà le basi fondamentali (in giapponese Kihon) come gli sono stati indicati dal proprio Maestro e dallo stile della propria scuola. Però durante la pratica più pura e più intensa come può essere il Taninzu Dori (da molti conosciuto come Randori) oppure durante il flusso continuo singolo (Renraku Waza/Kanren Waza) o di tecnica e contro-tecnica (Kaeshi Waza), ciascuno di noi mostrerà il suo modo di vivere, intendere e dare nell’Aikido. Ed è per questo che l’Aikido è così affascinante e bello!

Purtroppo questa libertà di espressione porta spesso a creare molta confusione all’interno dell’Aikido stessa. Dove libertà di espressione dovrebbe essere intesa come libertà di esprimersi di ciascuno di noi come artisti, sfortunatamente viene usato per deturpare le basi fondamentali ed ergersi come Maestri. Quanti sedicenti Maestri troviamo in giro che magari non hanno neanche finito il percorso dello ShuHaRi?

Che cosa è? ShuHaRi è il percorso che ciascuno di noi compie, non solamente mentre si pratica un Budo ma lo si percorre in tutte le faccende della nostra vita. Anche quando impariamo a cucinare o a scrivere o a fare i calcoli matematici, stiamo vivendo lo ShuHaRi.

Ma che cosa è? ShuHaRi sono tre fasi della nostra esistenza all’interno di un percorso, dove viviamo intensamente tre specifiche fasi del nostro modo di vivere questa esperienza.

La fase Shu è quando siamo agli inizi. Impariamo senza batter ciglio e con tanta umiltà ciò che ci viene spiegato. Copiamo quello che il Maestro o l’Insegnante ci trasmette. Viviamo con uno spirito amorevole e passionale ciò che stiamo facendo.

La fase Ha invece può essere considerata una fase adolescenziale, dove critichiamo tutto e tutti e in special modo noi stessi. Discutiamo e mettiamo in giudizio il nostro percorso e la nostra passione. Cerchiamo di comprendere dove possano essere gli errori della nostra vita. Di solito molti marzialisti (se prendiamo le arti marziali come punto di riferimento) si perdono all’inizio di questa fase, abbandonando totalmente la pratica della loro arte, per poter, in alcuni casi, rivivere quelle emozioni della fase Shu o cercare qualcosa che possa spingerli a vivere delle forti sensazioni e superare in tal modo la noia.

La fase Ri appartiene a coloro che non si sono persi come delle foglie al vento ma sono rimasti vicini all’albero, pur staccandosi dai rami di essa, e sono divenuti frutti che aiuteranno l’albero a sopravvivere o creeranno un altro albero da questa esperienza. Le persone della fase Ri, sono quelle persone che hanno maturato esperienza e sono riuscite a comprendere in pieno l’essenza della loro pratica, qualsiasi essa fosse. Amano quanto hanno appreso ma sanno anche criticare in maniera costruttiva ciò che vi è di buono e di cattivo nella loro pratica e vita. Chi vive la fase Ri, ha ottenuto effettivamente la maestria della sua arte e riesce a viverla intensamente per poi cosi saperla tramandare.

Ciò che pochissimi sanno è che la fase ShuHaRi non si ferma esclusivamente con il raggiungimento della fase Ri. Quello che realmente pochi conoscono, è il fatto che vi è una quarta e ultima fase! Questa è il saper vivere lo ShuHaRi nella sua interezza! Il vero Maestro prosegue il suo percorso e non si ferma mai! Nonostante abbia ottenuto la maestria della propria arte, egli proseguirà ad inoltrarsi dentro i “misteri” della propria pratica e vivrà costantemente lo ShuHaRi sino agli ultimi giorni della sua vita!! Non è affascinante?

Se osserviamo i grandi Sensei del passato, non erano forse sempre ad allenarsi sulle basi? O-Sensei praticava costantemente il Kihon e lo fece sino ai suoi ultimissimi giorni. Così fecero tutti i suoi allievi, nonostante fossero divenuti Shihan. Anzi proprio perché erano Shihan, cercarono di trasmettere il messaggio: che bisogna sempre ritornare ad essere principianti e lavorare costantemente dentro lo ShuHaRi per ottenere la Maestria!

In finale la circolarità all’interno della cultura del Budo è onnipresente! Pensate al bellissimo aneddoto della cintura nera!

Sapevate che in Giappone si suole dire che ciascuno di noi inizia dalla cintura bianca, che identifica la purezza di colui che inizia un percorso. Il color bianco fu adoperato da diversissime culture proprio per collimare l’idea di purezza e innocenza. Durante gli anni di pratica e sudore la cintura bianca si “tingerà” (o si sporcherà) di nero perché essendo così presi dalla pratica, l’allievo si dimentica di pulirsi la cintura mentre si pulisce il Keikogi. Così facendo, dopo tantissimi anni, egli avrà un keikogi bianco ma una cintura nera. Ma visto che vive lo ShuHaRi, egli si dimenticherà della sua Kuro Obi (cintura nera) che col trascorrere degli anni si sfalderà, mostrando così nuovamente gli strati di bianco di cui era fatto (essendo di cotone. Ndr.). E verso la fine avrà di nuovo una cintura bianca. Non è forse affascinante tutto ciò?

Perché la cintura nera non è un traguardo bensì un’inizio. E solamente colui che comprende e sa rimanere umile con se stesso e con gli altri, saprà acquisire la vera maestria dell’arte che pratica.

Ricordiamocene sempre!

Susie Jo

Aikido Sinnai! Parliamo un pochino di noi!

Il nostro dojo di Sinnai ( Shin Shiaikan Dojo)

Salve a tutti e ben ritrovati tra le nostre pagine. Stavolta ho desiderio di parlare della bellissima esperienza (oltre che percorso) che stiamo vivendo nella nostra città di Sinnai. Questa è una piccola comunità dello hinterland cagliaritano. Di fatti è la città più grande tra le tre che sono stanziate vicino l’una con l’altra. Settimo San Pietro che si trova a Sud e Maracalagonis che si trova nel Nord Est, attorniano la città di Sinnai che si arrocca tra le montagne, donando a chi vi vive una spettacolare visuale dall’alto sulla città di Cagliari.

Qui, in queste terre antiche, abbiamo deciso di formare il nostro nuovo gruppo. I tempi erano maturi. O almeno io ormai mi ritengo maturo per creare un fortissimo gruppo di praticanti. Di fatti come insegnante e maestro, ho insegnato all’estero e in giro per l’Italia; ho tenuto seminari con grossi afflussi di studenti; ho fatto le mie esperienze. Diciamocelo.

Tanta esperienza in giro per il mondo ma ancora moltissimo da imparare e capire. Quando arrivai in Sardegna ero probabilmente in quella fase dove avevo necessità di comprendere nuove cose, imparare altrettanto nuove vie e capire ulteriormente cosa potessi fare del mio percorso.

Ho sviluppato, effettivamente, nuovi percorsi; ho realmente imparato a fare cose inimmaginabili sino a qualche anno fa.. divenire un video maker era un’idea lontana, lontana… quasi impossibile…

Eppure eccoci qua, alle soglie del 2020 con la capacità di editare su diversi programmi software, video in 4k! Tutto il merito va a Susie Sensei che mi ha incitato a studiare ed a imparare. Imparare sempre. Di fatti il suo motto è: “se possono farlo gli altri, lo posso farlo anche io e meglio”. Tutto ciò per parafrasare il suo insegnamento.

Effettivamente molte cose sono cambiate dal mio arrivo in Sardegna nel 2014. Io stesso mi sento un uomo totalmente diverso. E di questo lo scoprirete con la lettura del blog ed attraverso i video che stiamo uploadando su Youtube. E’ emozionante poter condividere la propria passione sia per iscritto che attraverso la creazione di nuovissimi contenuti social.

Pertanto non è sbagliato dire che il Sung Gyun David Cho del 2019 sia assai differente dal me medesimo del 2014. L’esempio di Susie e l’ambiente sardo mi hanno aiutato a crescere ulteriormente come Uomo e di conseguenza come Maestro. E qui non parlo della mera tecnica. Un Maestro non è un contenitore di tecniche. Un Maestro trasmette passione, vive la passione, condivide il suo sapere e da il buon esempio. Questo fa un Maestro. E così sto facendo io con questo bellissimo gruppo che si è formato a Sinnai.

Perché a Sinnai si è effettivamente formato un bellissimo gruppo di persone appassionate, volenterosi e con il desiderio di imparare l’Aikido. Costoro sono gli allievi e le allieve della mia maturità marziale e di Maestro. A costoro sto condividendo tutto ciò che ho sinora compreso, appreso e fatto mio del percorso dell’Aiki. Nel contempo loro mi donano energia e voglia di fare sempre di più.

Se un tempo ero legato agli stereotipi quali il desiderare un dojo privato tutto mio, costruito nella maniera tradizionale giapponese, grazie a questi magnifici allievi ho compreso che la realtà è realmente diversa. Quello che mi insegnarono durante il mio studio da apprendista era totalmente vero! Il dojo non è uno spazio fisico, ma è il luogo dove si incontrano le persone e tali persone formano ciò che è il luogo dove si percorrerà la Via. Se tali persone sono sciatte e senza desiderio, si avrà un Dojo rovinoso; altresì se costoro saranno pieni di energie, allora si avrà un luogo dove la voglia di capire, studiare, provare ed allenarsi, invoglierà chiunque a partecipare.

Ed è questo quello che sta capitando a Sinnai. Lo sforzo congiunto degli allievi e di noi insegnanti, sta donando nuova linfa al settore marziale. Chiunque viene a trovarci per un saluto, sente la nostra energia e passione; sente e ne viene attratto in una maniera o l’altra. Ed è questa la vera energia. L’energia sincera che tutto spinge in avanti e dona forza e coesione a qualsiasi gruppo.

Siamo stati fortunati. Non si può negare questo. Incontrare in pochi mesi persone che poi senti di aver conosciuto da diversi anni è rarissimo. Forse unico che raro.

Ma se gli allievi ed allieve sono lo specchio del Maestro (come del resto i figli sono lo specchio delle madri e dei padri.. Ndr.), allora ciò che si vede oggi, è per l’appunto, lo specchio della mia maturazione come insegnante e come Uomo.

Ed è proprio questo che si vede e si sente. Energia positiva. Energia coinvolgente. Ed una voglia di fare e fare e fare e fare! Incredibile!

E siamo solamente al terzo mese di attività (considerando la data odierna in cui sto scrivendo questo blog post!).

E chissà quante altre magnifiche avventure ci attendono in queste settimane, mesi e anni! Parlo di avventure perché abbiamo iniziato bene andando come gruppo a Nuoro per l’evento organizzato dall’associazione culturale Mammai Sardinia per il progetto internazionale Arigato Iscola. E’ stato bellissimo poter partecipare come gruppo Aikido Sinnai, a tale progetto. Ed è stato altrettanto bello poter essere assieme per tale evento! Oltre questo siamo stati a tenere una lezione presso il noto Supermercatino dell’Usato di Cagliari, dove ci siamo divertiti molto!

Nel 2020 ci aspettano nuovamente a Nuoro, ma nel contempo è possibile che come gruppo parteciperemo a Gennaio ad un evento di beneficienza, insegnando e praticando Aikido, assieme a chiunque desideri conoscere la nostra arte!

Tutto questo per dire che un gruppo ha necessità di uscire dalle solite quattro mura del locale dove è sito il Dojo. Perché solamente cosi facendo si creano esperienze utili alla crescita dei praticanti!

Sì.. siamo stati e siamo fortunati ad aver formato questo gruppo. E sono altrettanto felice di poter condividere questo video, dove esprimo di fronte alla telecamera, la mia piena gioia e soddisfazione per quanto stiamo creando nella nostra Sinnai.

Perché solamente donando esperienza, conoscenza e sorrisi, l’Aikido potrà che giovarne e divenire sempre più forte.

E ribadisco.. se gli allievi sono il nostro specchio.. diamo a loro il buon esempio e interrompiamo il brutto esempio che ci hanno dato chi ci ha preceduti (invidie, calunnie, cattiverie ecc.).

Spezziamo le catene del passato, e diamo ai ragazzi della nuova generazione, un buon ricordo e soprattutto un buon esempio da seguire!

Io posso parlare per l’Aikido Sinnai (ma anche dei dojo di Roma e Gaeta).. noi lo faremo senz’altro!

Sung Gyun David Cho

Che cosa è l’Aikido?

Che cosa è l’Aikido?

Salve a tutti carissimi amici e amiche e lettori occasionali. Spesso e volentieri le persone mi hanno sempre chiesto cosa fosse l’Aikido. La mia risposta è sempre stata che esiste un Aikido generale ed un Aikido in particolare.

Mi spiego. 

Generalmente l’Aikido è considerata un’arte marziale di difesa dove si “sfrutta l’energia dell’altro per vincerlo”. O così mi dicono coloro che si approcciano a me e mi pongono la fatidica domanda “Che cosa è l’Aikido”.

Di fatti, come del resto per tantissime cose, l’Aikido è un’arte marziale che per la sua effettiva struttura si presta ad essere considerata in tal misura.

Nella realtà l’Aikido può essere molto di più ( e spesso molto di meno ahimè). 

In che senso?

Nel senso che dipende spesso dall’interpretazione dello Shihan o del Sensei o di chi tiene il corso/lezione al dojo, che sia per un piccolo gruppo o per un gruppo gigantesco (caso degli Shihan). 

Ma perché tutto ciò?

Perché in realtà l’Aikido è un’arte formato da principi, più o meno chiari alle persone (di fatti possiamo dire che l’Aikido, nella sua struttura più interna è formato dai principi fondamentali che troviamo nel Daito Ryu Aiki Jujutsu, da cui lo stesso Aikido nacque . Ndr.)(Ueshiba O-Sensei, nonostante si cerchi, o si sia cercato, di allontanarlo dal suo legame con il Daito Ryu, fu al 100% un Maestro di Daito, con tanto di certificazione – il famigerato Kyoju Dairi – di istruzione, rilasciatogli da Takeda Sokaku in persona).

Principi.. ma quali?

Nel sistema Daito (se si considera il Daito Ryu un sistema logico di tecniche e principi) i principi fondamentali sono ben scanditi sin da subito. Quando un praticante comincia a studiare il Daito Ryu, egli inizierà con tutta probabilità dalle note 118 tecniche che fanno parte del settore Hiden Mokoroku. Tale settore in realtà è suddiviso in 5 o 6 sotto settori che formano, per l’appunto, i principi di base del Daito Ryu. Di fatti quando una persona studia Ikkajo, per fare un esempio, egli non sta studiando solamente una tecnica, ma a seconda della Ryu-ha (ossia un ramo della scuola) egli studierà dai 23 alle 33 tecniche più o meno. Tali tecniche avranno tutte una base comune che appunto rispecchia il principio Ikkajo. 

Ma di quale principio si parla? 

Nel caso specifico di Ikkajo, si studia il principio fondamentale del Kuzushi e del mantenimento di esso. La tecnica principale a cui fa riferimento tale principio è Ippon Dori da cui nasce il Dai Ikkyo dell’Aikido (nello Yoshinkan ad esempio non si chiama Dai Ikkyo bensì viene chiamato Ikkajo!). Così recitano (o recitiamo sempre) i maestri di Daito: “Non appena ottengo il contatto con l’altro, creo un Kuzushi ed è fondamentale mantenere il Kuzushi”.

Kuzushi è lo squilibrio.. si intende la capacità di creare uno squilibrio nell’avversario. Esso esiste come concept in tutte le arti marziali che siano giapponesi, cinesi, coreane o anche europee. In effetti molti pochi lo sanno, ma esistono arti marziali vere e proprie nate in Europa! La stessa Sardegna ha l’arte chiamata Is’strumpa, che è una forma di lotta che ricorda stranamente lo Ss’rium coreano! Incredibile.

Tornando a noi per molti il Kuzushi, altri non è che la capacità di creare uno squilibrio fisico all’avversario. Nella realtà è la nostra capacità di squilibrare l’altro ma non solamente attraverso il lavoro sul corpo materiale della persona, ma anche il lavoro che eseguiamo sull’altro mentalmente! Di fatti in molti testi legati al Daito Ryu, si dice spesso che il Kuzushi si esegue sul corpo, sulla mente e sullo spirito! 

Ma torniamo sul principio Ikkajo. 

Mentre nell’Aikido, tale principio viene studiato ed espresso attraverso il Dai Ikkyo (vi sarebbe moltissimo altri da dire a tal proposito, ma aspetto di scriverlo in un altro blog post) (quindi seguitemi in quest’avventura! Ndr.), nel Daito Ryu esso viene espresso attraverso le 23 o 33 tecniche appartenenti, per l’appunto, al sotto settore Ikkajo. Se si pensa che dentro tale settore vi sono tecniche che nell’Aikido sono note come Kotegaeshi, si comprende quanto sia diversa l’approccio tra le due arti!

Nonostante le differenze, l’Aikido è figlia del Daito Ryu. Anzi per alcuni di noi, essa è ancora una Ryu-ha del Daito, seppure il suo percorso sia divenuto ormai diverso.. nonostante si sia, diciamo, evoluto dalla sua scuola originaria! Ma di questo avremo modo di parlarne nel nostro canale Kankukan Aiki che qua sul nostro blog!

Pertanto l’Aikido mantiene ed è una forma d’arte dove lo studio dei principi fondamentali che permettono il movimento, è più importante della tecnica stessa.

Purtroppo.. e parlo con il cuore.. molti non comprendono questa idea e si applicano solo ed esclusivamente alla ricerca o della tecnica perfetta o del numero di tecniche più grande e immaginabile possibile. Questa è una brutta e alquanto sbagliata interpretazione dell’arte dell’Aikido. Non che vi sia nulla di sbagliato nel fare ciò. Ma facendo così, si perde moltissimo la struttura su cui l’Aikido (e quindi il Daito) si forma e si evolve nel tempo.

E già qua troviamo una diversa interpretazione su cosa sia l’Aikido. Il fatto stesso che vi siano maestri 6i o 7i Dan che pensano che l’Aikido sia un “bunch of techninques”, come direbbero gli americani, ci porta a capire quanto sia interpretabile l’arte stessa.

Se poi tra coloro che invece vivono i principi come fondamentali per la pratica di tutti i giorni, vi sono persone che interpretano i principi stessi in base alle proprie esperienze, troveremo un ulteriore interpretazione dell’arte.

Aggiungiamo poi la gigantesca massa di persone che non si interessano o per loro sfortuna, non hanno mai conosciuto che esistono tali principi… alla fine della giornata avremo un numero gigantesco di persone che sa poche cose e spesso le conosce in maniera confusa.

Guardate bene, che non è mia intenzione denigrare o parlar male di costoro. Ciascuno ha il suo percorso e la sua storia, ed è giustissimo rispettare tutti quanti, senza alcuna discriminazione.

Qui, in questo blog, porto avanti ciò che Io, come praticante, ho imparato nel mio percorso da budoka. Può essere diverso ma mai migliore o superiore a quello degli altri.

Pertanto per tornare in tema… che cosa è l’Aikido?

A tale domanda io risponderei con il classico: “è tutto ed è niente”, a cui aggiungerei anche “dipende sempre se vogliamo dare una definizione ad esso, per forza di cose”.

Perché l’Aikido è un immenso universo, formato dalle persone che lo praticano. Alcuni sono vicini alle origini dell’arte, altri molto lontani da essa (nel bene o nel male che sia.. Ndr.), ma tutti fanno parte dell’Aikido.

Non esiste pertanto una sola definizione ma molteplici che si uniscono e formano l’universo in cui ci alleniamo costantemente.

Se poi la domanda mi fosse rivolta in maniera più specifica ossia “cosa è per te l’Aikido”.. allora risponderei dicendo che per me è “un’arte legata alla tradizione dell’Aiki, ove si cerca di conoscere ed acquisire l’Aiki stesso, che è indissolubilmente legato alla nostra crescita e nostra formazione come persone che studiano l’arte del combattere” ed aggiungerei anche che l’Aikido è “ solo un dei tantissimi mezzi per scoprire i nostri limiti e comprendere che siamo degli esseri umani e non divinità. Comprenderlo ci fa capire che dobbiamo combattere e vincere noi stessi ogni giorno”.

L’Aikido è una bellissima arte. Cercate di conoscerlo e viverlo appieno !

Sung Gyun David Cho

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